Ho un amico di nome Parkinson
Al neurologo che oltre dieci anni fa mi disse: “mi spiace, Lei ha il Parkinson” oggi risponderei: “Grazie, ho un amico di nome Parkinson!”
Un amico con cui litigo tutti i giorni, ma senza il quale non avrei conosciuto persone meravigliose, malati e volontari, che mi infondono la forza per poter essere d’aiuto ai miei consimili.
Sì, ho il Parkison, però … non mi soffermo mai troppo ad interrogarmi su cosa sarebbe stata la mia vita se non avessi contratto questa malattia. Troppo facile e scontata una risposta del tipo “almeno tre mesi al mare ed altrettanti in montagna”; forse falsa quella di “volontario in un’associazione di ammalati”.
E poi? Brr, non mi ci fate pensare: costretto ad accompagnare mia moglie a fare la spesa, commentare “un posto al sole” con le sue amiche, vangare ed accudire l’orto, rosolare sulla spiaggia raccontando stupidaggini vestite da terapia della risata.
Povera Giusi, non si merita un marito così ingrato!
Guardiamo allora il problema sotto un altro aspetto: se il Parkinson è il demonio, non è detto che io debba essere considerato un appestato, i campanelli su logori stracci per avvisare la mia presenza, il cappuccio a coprire il viso, in mano un “ciap” dove versare la minestra.
Tremore, postura ricurva, movimenti da bradipo, scialorrea abbondante, scrittura incomprensibile, difficoltà nel portare il bicchiere alla bocca (tanto per citare i disturbi più evidenti) mi impediscono di lavorare velocemente, ma anche accettare aiuti o roteare gli occhi in cerca di compassione.
Sarebbe nata l’Associazione che rappresento e che mi onoro di servire con lealtà? Avrei stretto amicizia con Olga, Gigi, Luisa, Nuria, Adriana e cento altri? Avrei praticato musico-terapia, qi gong, boxe-terapia? Avrei provato il vortice di sensazioni che mi assale ogni qual volta inizio un progetto terapeutico integrativo?
Bel dilemma: com’è possibile chiedere alla lampada di Aladino una vita senza Parkinson, buttando a mare coloro che ormai son diventati parte integrante della mia vita?
Non mi sento né Gattamelata né Brancaleone: non ho un’armata, ma amici che urlano in silenzio il loro dolore ed io con loro. Non siamo matti, la nostra mente è lucida, anche se i nostri movimenti appaiono goffi e fanno ridere gli stolti.
Cari
amici, teniamoci stretta la nostra canzone poiché ogni
medaglia ha
il suo diritto, oltre che il suo rovescio. È bello
conoscerVi e
gracchiare con voi:
“Oh levodopa bella
Non sei una caramella
Però ci dai la forza
Ed ogni giorno la speranza
Per la vita continuar.”
Appoggiato alla ringhiera del terrazzino di casa, ogni mattina ricevo il saluto delle mie montagne. Verzel e Quinzeina a destra, Cima Mares e Soglio a sinistra fanno da sipario naturale alle alte vette del Parco Nazionale del Gran Paradiso.
Al tramonto, spesso acceso di rosso fuoco, rendo il saluto al sole che velocemente sparisce oltre il confine.
Amo la Sassa, l’acqua fresca della sua fontana, il rumore degli zoccoli di camosci e stambecchi che dal tetto scrutano poco più sotto la pozza d’acqua della Noaschetta.
Nessuno me ne voglia se una fiaba mette un po’ di scompiglio nella tranquilla vita delle genti dell’Eva d’or. Nessuna paura: il piccolo orco che qui vive ha il Cuore d’oro. Lo sanno anche i ragazzi che con i loro racconti ed i loro disegni mi hanno aiutato ad illustrarne le gesta.
Così nasce il mio libro “Il piccolo orco” e ringrazio tutti coloro che, comprandolo, ci hanno permesso di realizzare il progetto “Torna a sorridere”: quattro stupendi macchinari per la ginnastica assistita dei malati di Parkinson con forti problematiche motorie e cognitive.
Mi torna in mente Domenica, il suo coraggio nell’affrontare la vita, le sue poesie. Una fra tutte:
Questa notte ho scoperto
di avere una compagna fedele,
sempre presente, che non può più
separarsi da me,
che mi sarà vicina fino
alla fine della mia esistenza.
Quando si allontana da me
è per tornare più fedele di prima;
è diligente, sempre infaticabile,
impaziente di mettermi alla prova.
Ed in cuor mio la insulto e la maledico.
Ma lei non si affligge
e continua il suo camino.
Questa compagna che nessuno di noi ama
si chiama malattia.
“Uno dei disturbi peggiori del Parkinson è il tremore a riposo ….”. No! Dopo il terzo minuto avrebbero iniziato a dormire! E poi, perché mai dovrei sciorinare un trattato di medicina, visto che medico non sono?
Chi viaggia in auto con me capisce come mai il tremore è una brutta bestia: per tutto il tragitto penserebbe di trovarsi sul tagadà! Ora va meglio. Cammino su e giù per mantenere viva l’attenzione.
“Un bel dilemma ricordarsi gli orari in cui prendere i tanti medicinali che costellano le nostre giornate. Mi sembra di fare il gioco delle tre carte. Puntate, signori, puntate! Sotto quale blister c’è la pastiglia gialla? …”
Non sempre si ride. Specie quando “la dottoressa dell’AVIS mi ha buttato fuori scandalizzata che chiedessi di donare il sangue: uscii piangendo, dicendole che se l’avessi incontrata per strada, le sarei passato sopra con la macchina”.
Sto parlando ad alunni del percorso socio sanitario di una scuola di Ivrea: ragazzi come tanti, orecchini al naso e brache in fondo al sedere: ma ho la certezza che abbiano una sensibilità al sociale migliore di molti “maturi” benpensanti.
Quando li saluto parte un applauso: non è per me. E’ per Paola che in questi giorni verrà operata di DBS.
In bocca al lupo, Paola!
Anche se malato, posso sognare. Sogno il giorno in cui, risvegliandomi, potrò dedicare le mie residue forze al progetto di un centro diurno dove ai malati vengano prescritte, in unione ai farmaci, attività terapeutiche integrative, passeggiate, ginnastica, sedute di yoga del sorriso. La ricerca di una ricetta, la sua preparazione e la condivisione del pasto con tutti.
Visite museali e discussione su quanto appreso, svolgimento di attività socialmente utili in collaborazione con il Comune: costruiamo un parco per anziani, organizziamo mostre! C'è un mondo intero che può essere reso più bello dai malati, anche se costretti su una carrozzina e capaci di donare unicamente la propria presenza! L'esserci è uno degli strumenti riabilitativi più sottovalutati che ci siano.
Sogno un medico che curi i malati con l'occupazione, che dia loro un obiettivo sempre nuovo da raggiungere: è l’Ikigai per i giapponesi: il motivo per cui alzarsi la mattina.
Se questa proposta fa parte del ventaglio di possibilità di cura, allora prendiamoci per mano e costruiamolo insieme ai figli dei malati, per formare un’unica grande famiglia, dove la solitudine e la vergogna lasceranno il posto ad una qualità di vita migliore.
Silvano Chiartano
Associazione Parkinsoniani del Canavese
Uniti nella lotta contro il Parkinson