L ‘ ORCO
C’era una volta e
c’è ancor oggi una valle chiamata Valle
dell’Orco.
E, si dice, che tanto tanto tempo fa c’era un orco gigantesco, brutto come tutti gli orchi, una faccia che da sola terrorizzava chi aveva la sfortuna di incontrarlo, lassù tra le montagne del Gran Paradiso o nei boschi che si estendevano sino al limitare dei paesi.
Come tutti gli orchi aveva una fame gigantesca e chi cadeva nelle sue trappole, animale od essere umano che dir si voglia, veniva mangiato in un sol boccone.
In una di queste trappole finì anche una vecchia che aveva fama di ….
anni e mezzo che in questi giorni di vacanze dall’asilo (pardon, scuola materna) tiene sotto pressione me e nonna.
“Nonno, di cosa parliamo oggi?” mi chiede immancabilmente uscendo da casa per la passeggiata, il parco giochi, le piccole commissioni (Giusi, la mia metà, con la quale festeggerò fra due giorni il 45° anniversario, sa che le “grosse commissioni” non son pane per i miei denti).
Stanco di parlare degli animali della fattoria, della giungla e della savana, di navi, auto, aerei, di ombre e di stelle, avevo deciso di imbastire un favola su un orco (io abito al limitare della Valle Orco, anche se
quest’omaccio non c’entra nulla, perché orco è un’accezione dialettale di oro ed il fiume che vi scorre è
chiamato “èva d’or”).
Arrivato alla settima riga squilla il telefono. “Ciao, son Marilisa …. Mi mandi un pezzo per il giornalino?” vuoi dirle di no? Lei è una ragazza stupenda, la conoscete tutti. Dovevo dirle di no? Io no di certo. Se volete, provateci voi.
Accetto l’incarico. Ma … di cosa parliamo? Marilisa mi dà lo spunto ed allora via! Parliamo di
Che ci facevo io lì in mezzo, che non riesco a portare manco un cane, perché nessuno dei parkinsoniani
canavesani vuol muovere un passo per venire a Torino? Non che sia invidioso, tutt’altro.
Così ho pensato, tre giorni prima, cioè il giovedì, di farmi un “Run” pure io.
Credetemi, è stata una cosa buttata lì, quasi fosse solo una battuta; ma prima di sera avevo già rotto le
scatole all’assessore di Castellamonte (“ma certo che t’la du la piassa”), a Manuela che gestisce una
palestra di danza (“splendido, Silvano, certo che ti aiuto”), a Teodoro, presidente della Pro Loco (“ci
pinzamo nui pe’dari da mangiari e da biri).
Cosìcchè, chiedendo ad uno, tirando per i piedi l’altro, la domenica mattina “recintavo” con duecento
vasetti di begoniette la pista di trecentotrentatremetri ricavata nella piazza del mercato.
Mia figlia mi aveva fatto avere i pettorali. Alle nove ben quindici di questi erano spillati sulle magliette dei corridori. Alla fine son stati quarantacinque, con due percorsi: uno, appunto di 333 metri e l’altro di un chilometro, da ripetere cinque volte.
Più tardi una tombola gigante distribuiva doni a volontà (biscotti e farina da polenta, leccornie, eccetera, fino all’attesissimo “buono per una cena ai Tre Re per due persone”).
Per un mese chi incontravo per Castellamonte mi sgridava “perche non me l’hai detto?...”
Insomma, una manifestazione fatta con poco, che a giudicare asetticamente si poteva definire “da schifo“.
Però a Torino non sarei stato utile, a Castellamonte sì.
La nostra associazione non è ancora ben radicata sul territorio, che vi ricordo essere disomogeneo
geograficamente, cosa che non favorisce gli spostamenti; molti i servizi mancanti. Ma ancor peggiore è la situazione della maggior parte dei parkinsoniani, anche tra gli iscritti: depressi, non accettano il loro stato, si vergognano ed è difficile convincerli a frequentare le attività. È solo facendo sentire la nostra continua presenza che piano piano escono allo scoperto. Questo vale anche per i famigliari. Non sono il pifferaio di Hamelin e faccio quel che posso.
Ecco perché, anche se in tono minore, abbiamo deciso di correre il Run for Parkinson a Castellamonte. Il passo è stato fatto e la solidarietà di alcuni si è fatta sentire: il prossimo anno dovremmo poter contare su un aiuto organizzativo di un gruppo sportivo ed il patrocinio del Comune.
Il risultato è che più parliamo di Parkinson, più i malati prendono coraggio e si avvicinano a noi. L’unione fa la forza e con la forza la possibilità di poter mettere in campo servizi migliori e di ottenere quel che ci si spetta dalle amministrazioni pubbliche e sanitarie. Oggi è ancora un’utopia, ma mai darsi per vinti.
Per questo il buon Gili s’è inventato il Tavolo Regionale : sosteniamo con forza la sua idea, i risultati
arriveranno.
La malattia è dura da sopportare, lo so benissimo, visto che ho undici anni di Parkinson sulle spalle; ma
piangersi addosso non serve, anzi è dannoso.
Una cara amica, malata di sclerosi multipla dalla fanciullezza, mi dice: “io sono felice”.
“Perché?” le ho domandato. “Perché ho una carrozzina, mentre da piccola non ce l’avevo e non potevo
uscire di casa”.
Spero che presto diventi una nostra volontaria e che possa dire: “oggi sono doppiamente felice, perché
posso contribuire a migliorare la qualità della vita di chi soffre, me inclusa”.
Ciao a tutti, un forte abbraccio (ma sensa feve mal, neh!).
Silvano
E, si dice, che tanto tanto tempo fa c’era un orco gigantesco, brutto come tutti gli orchi, una faccia che da sola terrorizzava chi aveva la sfortuna di incontrarlo, lassù tra le montagne del Gran Paradiso o nei boschi che si estendevano sino al limitare dei paesi.
Come tutti gli orchi aveva una fame gigantesca e chi cadeva nelle sue trappole, animale od essere umano che dir si voglia, veniva mangiato in un sol boccone.
In una di queste trappole finì anche una vecchia che aveva fama di ….
>>><><<<
Stavo
scribacchiando una favola da raccontare a quella splendida creatura
ch’è Gioele, un peperino di 4anni e mezzo che in questi giorni di vacanze dall’asilo (pardon, scuola materna) tiene sotto pressione me e nonna.
“Nonno, di cosa parliamo oggi?” mi chiede immancabilmente uscendo da casa per la passeggiata, il parco giochi, le piccole commissioni (Giusi, la mia metà, con la quale festeggerò fra due giorni il 45° anniversario, sa che le “grosse commissioni” non son pane per i miei denti).
Stanco di parlare degli animali della fattoria, della giungla e della savana, di navi, auto, aerei, di ombre e di stelle, avevo deciso di imbastire un favola su un orco (io abito al limitare della Valle Orco, anche se
quest’omaccio non c’entra nulla, perché orco è un’accezione dialettale di oro ed il fiume che vi scorre è
chiamato “èva d’or”).
Arrivato alla settima riga squilla il telefono. “Ciao, son Marilisa …. Mi mandi un pezzo per il giornalino?” vuoi dirle di no? Lei è una ragazza stupenda, la conoscete tutti. Dovevo dirle di no? Io no di certo. Se volete, provateci voi.
Accetto l’incarico. Ma … di cosa parliamo? Marilisa mi dà lo spunto ed allora via! Parliamo di
RUN FOR PARKINSON
Quest’anno
ho disertato la manifestazione di Torino: roba mega, professionale. La
Carla in gran spolvero che chiama a raccolta i
partecipanti, il tesoriere che intasca i contributi, il presidente che
parla con la stampa, il testimonial
… insomma, un bel divertimento!Che ci facevo io lì in mezzo, che non riesco a portare manco un cane, perché nessuno dei parkinsoniani
canavesani vuol muovere un passo per venire a Torino? Non che sia invidioso, tutt’altro.
Così ho pensato, tre giorni prima, cioè il giovedì, di farmi un “Run” pure io.
Credetemi, è stata una cosa buttata lì, quasi fosse solo una battuta; ma prima di sera avevo già rotto le
scatole all’assessore di Castellamonte (“ma certo che t’la du la piassa”), a Manuela che gestisce una
palestra di danza (“splendido, Silvano, certo che ti aiuto”), a Teodoro, presidente della Pro Loco (“ci
pinzamo nui pe’dari da mangiari e da biri).
Cosìcchè, chiedendo ad uno, tirando per i piedi l’altro, la domenica mattina “recintavo” con duecento
vasetti di begoniette la pista di trecentotrentatremetri ricavata nella piazza del mercato.
Mia figlia mi aveva fatto avere i pettorali. Alle nove ben quindici di questi erano spillati sulle magliette dei corridori. Alla fine son stati quarantacinque, con due percorsi: uno, appunto di 333 metri e l’altro di un chilometro, da ripetere cinque volte.
Più tardi una tombola gigante distribuiva doni a volontà (biscotti e farina da polenta, leccornie, eccetera, fino all’attesissimo “buono per una cena ai Tre Re per due persone”).
Per un mese chi incontravo per Castellamonte mi sgridava “perche non me l’hai detto?...”
Insomma, una manifestazione fatta con poco, che a giudicare asetticamente si poteva definire “da schifo“.
Però a Torino non sarei stato utile, a Castellamonte sì.
La nostra associazione non è ancora ben radicata sul territorio, che vi ricordo essere disomogeneo
geograficamente, cosa che non favorisce gli spostamenti; molti i servizi mancanti. Ma ancor peggiore è la situazione della maggior parte dei parkinsoniani, anche tra gli iscritti: depressi, non accettano il loro stato, si vergognano ed è difficile convincerli a frequentare le attività. È solo facendo sentire la nostra continua presenza che piano piano escono allo scoperto. Questo vale anche per i famigliari. Non sono il pifferaio di Hamelin e faccio quel che posso.
Ecco perché, anche se in tono minore, abbiamo deciso di correre il Run for Parkinson a Castellamonte. Il passo è stato fatto e la solidarietà di alcuni si è fatta sentire: il prossimo anno dovremmo poter contare su un aiuto organizzativo di un gruppo sportivo ed il patrocinio del Comune.
Il risultato è che più parliamo di Parkinson, più i malati prendono coraggio e si avvicinano a noi. L’unione fa la forza e con la forza la possibilità di poter mettere in campo servizi migliori e di ottenere quel che ci si spetta dalle amministrazioni pubbliche e sanitarie. Oggi è ancora un’utopia, ma mai darsi per vinti.
Per questo il buon Gili s’è inventato il Tavolo Regionale : sosteniamo con forza la sua idea, i risultati
arriveranno.
La malattia è dura da sopportare, lo so benissimo, visto che ho undici anni di Parkinson sulle spalle; ma
piangersi addosso non serve, anzi è dannoso.
Una cara amica, malata di sclerosi multipla dalla fanciullezza, mi dice: “io sono felice”.
“Perché?” le ho domandato. “Perché ho una carrozzina, mentre da piccola non ce l’avevo e non potevo
uscire di casa”.
Spero che presto diventi una nostra volontaria e che possa dire: “oggi sono doppiamente felice, perché
posso contribuire a migliorare la qualità della vita di chi soffre, me inclusa”.
Ciao a tutti, un forte abbraccio (ma sensa feve mal, neh!).
Silvano
Associazione Parkinsoniani
del Canavese onlus
Scritto
quasi tutto d’un fiato il 2 settembre 2016