GOCCE DI CANAVESE - Gli scritti



GIUAN E SO ASO


<< Se stèi nin brèf, lünes Giuan av caria sl’aso nèir e av porta vìa
cun chièl >>
Non era una vera minaccia (Paride Jonatah Amleto, il nonno, e gli altri della nostra casa natale si divertivano talvolta a prenderci in giro), ma io ed Ada eravamo terrorizzati da queste parole.
Col tempo la paura è passata, ma non il ricordo della figura di Giuan, che il lunedì di buon’ora scendeva dal monte per vendere i suoi prodotti al mercato e “parcheggiava” il suo asino nella stalla di casa nostra, il pelo scuro come scura era la pelle del volto del suo
padrone, arsa dal sole di montagna; di poche parole, come si conviene a chi sta giorni e giorni solo con le sue “bestie”.

Non ci ha mai toccati, mai una parolaccia, una minaccia. Ma per noi era il diavolo. Il pensiero di poter essere caricati nelle gerle assieme alle poche merci rimaste invendute e quelle che, ancor meno, costituivano la sua spesa settimanale, ci induceva a nasconderci con buon anticipo nei mucchi di fieno, tra le cataste della legna da ardere o nel solaio ricco di oggetti che pungolavano la nostra fantasia. Uno di noi spiava il momento in cui, tornato dal mercato, caricava il basto e, dopo aver salutato i nonni e bevuto un mezzobicchiere di vino, poneva fine alla nostra paura.

Paura che, ne sono convinto, mi ha sempre impedito di guardare pellicole con scene di violenza, così come pensare agli orrori delle guerre e di tutti i misfatti che quotidianamente dissetano la nostra voglia di cronaca nera.

Ada, purtroppo, non c’è più da tanto, troppo tempo, consumata da quel che si diceva essere un brutto male.
Bighellonando tra le montagne che fanno da ventaglio alla mia vita, è facile incontrare piccole mandrie al pascolo: mucche, pecore, qualche asino, l’immancabile cane che abbaia più per contentezza che per azzannarti, e talvolta il padrone. Non è Giuan, chissà da chissà da quanto a miglior vita.

Ricordi...

GABBIE

Ogni lunedì mattina, in fondo al vialetto che portava alla mia abitazione, si teneva un vivace mercato degli animali da cortile.
Pulcini, paperette, ochette aspettavano di trovare una nuova casa, un nuovo cortile dove razzolare. Molto meno romanticamente, galline, papere ed oche attendevano una pentola vestita da massaia: che buono il brodo di gallina, inzuppato di grissini, pane raffermo ed una spolverata di gruviera, “ma poca, dësnò a fà gnir ij pieuj ant testa!”, raccomandava nonna Chinota, preoccupata del costo del parmigiano.

Era un divertimento assistere alle contrattazioni: pulcini che saltavano fuori dalla gabbia o dai cartoni e che, con un buffetto a mo’ di sculacciata, vi rientravano precipitosamente incespicando ed allargando le buffe alucce che a noi bambini facevano morir dal ridere.
Non davo importanza, allora, a quelle gabbie, che i puristi chiamano stie.

In quelle gabbie oggi ci siamo anche noi.
Ma diversamente dai polli che non vi erano entrati spontaneamente, noi ci catapultiamo felici di poter stare dietro le sbarre, come fossero la nostra ancora di salvezza.
Depressione Parkinson.

Silvano Chiartano